Oggi è il 25 aprile. Il giorno della Liberazione dell’Italia.
Il giorno in cui, 72 anni fa, i soldati nazisti e fascisti si ritirarono da Torino e Milano, dopo la ribellione della popolazione e il piano messo in atto dai partigiani per riprendersi le città.
È il giorno in cui, quand’ero una ragazzina al liceo, scappavo in spiaggia con gli amici, a Foce Varano (il mio Gargano!) per tentare il primo bagno gelato se la giornata era bella.
Più tardi, all’università, è diventato il giorno dei concerti e delle manifestazioni in piazza e quando ho iniziato a lavorare a Milano, come cronista, si è trasformato nel giorno in cui rincorrevo sempre qualcuno ai cortei, casomai ci fosse stato qualche blitz neofascista e da lì, scontri e botte.
Ma oggi mi trovo a Bruxelles e qui la nostra Liberazione non se la fila nessuno.
Come la festeggio qui, la Liberazione?
Non posso neanche leggere a Diego “Senza tregua” di Giovanni Pesce o raccontargli chi era il partigiano Johnny senza ricorrere a rime insensate e strampalate canzoncine per avere la sua attenzione per almeno dieci minuti (e poi, visto che ha due anni, sarebbe troppo difficile spiegargli a cosa servono bombe e fucili).
Forse, se abitassimo ancora a Torino, io, il giornalista-in-trasferta e Diego avremmo fatto un salto in macchina ad Alba, a visitare la casa di Fenoglio.
Da qui, invece, posso solo scrivere questo post per ricordarmi che il 25 aprile resterà sempre un giorno importante e che i fascisti e i nazisti fanno schifo. Ripeto: fanno schifo.
Oggi, quando Diego tornerà dal nido, canteremo “Bella Ciao”. Che male non ci fa.